Le critiche fanno male

06.02.2016 14:20
a cura di Cristina Rotoloni

Ebbene sì, le critiche ci fanno male. A noi autori emergenti ancora di più. Possiamo affermare quanto vogliamo che siamo indifferenti al parere della gente, che le loro argomentazioni ci scivolano addosso e che a noi non importano i loro punti di vista, la verità è che indossiamo maschere per nascondere la nostra fragilità. Davanti ad una contestazione, a un parere negativo, il cervello per autodifendersi attacca, si arrabbia, si giustifica e ci porta a pensare che quella persona sia incompetente, non ha capito, è cattiva o ancor di più è invidiosa del nostro lavoro. Macerare quello che sembra un insuccesso è spesso un’impresa titanica. Quando poi ci sentiamo dire che la storia da noi scritta è insignificante e senza emozioni la rabbia aumenta in modo esponenziale. Siamo certi che di sentimento ne abbiamo provato tanto nello scrivere il testo e siamo sicuri di averlo totalmente riversato tra i fogli perché le stesse sensazioni le proviamo ancora quando lo rileggiamo. Dunque, mentre il nostro stomaco fa un doppio salto mortale per cercare di non aggrovigliarsi e il fegato cerca di scartare i continui colpi di amarezza che lo assediano, la nostra mente inizia a cedere all’insicurezza e pur non dicendolo pubblicamente iniziamo a credere che non siamo capaci, che siamo stati folli a far leggere a qualcuno quello che scriviamo e passiamo da momenti di frustrazione e commiserazione a momenti di inadeguatezza. La verità è che oltre le nostre parole e la bella parvenza che cerchiamo di mantenere con tutti abbiamo paura del parere altrui perché inconsciamente avvertiamo il bisogno della loro approvazione, prima ancora della nostra. Potete immaginare cosa succede, dopo aver reagito così per l’opinione di un perfetto estraneo che in linea di massima non ha alcun motivo per criticarci, se non dire il proprio parere soggettivo, quale meccanismo si attiva in noi se decidiamo di far visionare la nostra opera a un editor. Come prima cosa ci sentiremo sotto esame e come seconda cosa prenderemo coscienza che stiamo pagando qualcuno per farci criticare. Non sarà possibile restare indifferenti alla scelta fatta. Il primo vero banale consiglio che mi sento di darvi è quello di lasciarvi il diritto di sentirvi così. E’ giusto dare al nostro cervello il tempo di assimilare la parte spiacevole poiché, risolto questo passaggio, potrete iniziare a collaborare con la persona cui avete deciso di dare la vostra fiducia. In linea generale di correttezza il termine fiducia è importante. Da parte vostra perché permetterete a un estraneo di frugare ogni singola parola della vostra creatura alla quale avete fatto vedere la luce con tanta fatica, da parte sua perché deve credere che il vostro manoscritto è valido e diventerà un buon libro. Naturalmente tutti questi bei discorsi hanno il limite dei principi che si scontrano con il carattere e l’onestà dalle persone che seguirà il vostro lavoro.

La prima cosa da comprendere è che l’editor non è né un vostro nemico né un vostro rivale, anche se metterà mano al vostro manoscritto. Stabilito questo, va precisato che un bravo editor non fa sconti a nessuno. Non evita di riempirvi la pagina di appunti se serviranno a migliorare il lavoro. Non vi dirà che è buono solo perché non ne potete più, siete stanchi, temete di cambiare troppo la vostra opera, siete convinti che non servono modifiche. Armatevi dunque di pazienza. Altro punto fondamentale, l’editor non snatura il testo che ha davanti, rispetta l’autore e soprattutto non scrive il romanzo per lui. Prima di rivolgervi a questa figura professionale è fondamentale sapere che il suo ruolo è quello di valutare, consigliare, guidare, indicare (e la dove serve), correggere gli errori. Un bravo editor deve esortato l’autore affinché apporti da solo le modifiche al manoscritto. Il suo compito è quello di indicare il metodo affinché l’autore migliori la sua scrittura. Spesso, a causa delle indicazioni che do per le correzioni, mi sento dire: “Non sono in grado di scriverlo. Non penso di poterlo fare”. Oppure: “Non so come si fa, ma non andava bene così? Lasciamolo stare, tanto chi ci fa caso”. Terminano con: “Perché non mi scrivi qualcosa tu? Un piccolo input, qualche frase per partire, io poti seguo”. Scrittori vi invito a riflettere su quello che ho appena scritto, se succede vuol dire che qualcosa non va, l’autore non può non saper intervenire sulla propria opera.

Detto questo perché doveroso entriamo nel vivo dell’argomento. L’editing è importantissimo per qualunque scrittore, dal più famoso all’esordiente. Presentare un manoscritto grezzo, incompleto, errato, non curato nell’insieme è uno dei principali motivi perché il libro è scartato nonostante la validità della storia. L’autore ha bisogno di un editor poiché, essendo esterno e non coinvolto nella trama, ha la capacità di vedere tutte quelle sviste che lo scrittore “giustamente” non nota. Ricordiamoci sempre che scrivendo il manoscritto incappiamo per natura umana nella “cecità dell’autore”. E’ un meccanismo autonomo del cervello di chi segue la storia in prima persona. Durante la narrazione e la successiva correzione, sapendo già come si snodano le vicende, automaticamente, anche nel rileggerle, non notiamo gli errori perché la frase che abbiamo davanti la leggiamo così come l’abbiamo pensata. Il meccanismo naturale non giustifica tutto, però porta a un altro punto importante, bisogna ricordarsi di non starci troppo male se non abbiamo visto qualcosa o se nello scrivere è sfuggito qualche passaggio scontato per noi e oscuro per il lettore, fa tutto parte del gioco.

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